Perché si cade in una crisi più o meno intensa intorno ai quarant’anni?
E come mai è proprio questa l’età in cui si è maggiormente pronti per una trasformazione personale?

Benché ciascuno viva tale periodo in modo personale, i sintomi sono comuni a tutti: periodi di depressione, caduta di motivazione verso il proprio lavoro, bisogno di avventura e di cambiamento, indifferenza nei confronti della vita, consapevolezza della morte.
Esteriormente sembra tutto normale ma dentro molte domande si agitano:
Ho fatto qualche scelta sbagliata? Che cosa voglio? Chi sono veramente? Che cosa ho fatto finora d’importante? Valgo davvero qualcosa? Come sarà il futuro? In quale direzione devo orientare il tempo che mi resta da vivere? Devo cambiare partner, lavoro, casa?
In pratica si mettono in discussione tutti i ruoli (sociali, famigliari, istituzionali) ricoperti fino a quel momento.
L’età di mezzo
L’età di mezzo, quella tra i trentacinque-quarant’anni, è caratterizzata dal massimo dell’azione e delle responsabilità sociali. Ma è anche l’età dei bilanci, del disincanto, del rimettersi in questione.
Seguendo le orme di Sigmund Freud la psicologia si è concentrata quasi esclusivamente sulle fasi della vita infantile dell’uomo fino all’ adolescenza pressappoco verso i 17-18 anni. Soltanto con Carl Gustav Jung (1875-1961) lo sguardo della psicologia cambia direzione. Se Freud può essere definito lo psicologo della prima metà della vita, a ragione si può designare Jung come lo psicologo della seconda metà di essa, soprattutto perchè lui stesso ha raccontato, analizzato e superato la sua crisi (la traccia del suo viaggio interno è riscontrabile ne “Il Libro Rosso”). Jung afferma che durante questa stagione dell’esistenza “si prepara una profonda modificazione dell’animo umano”, mentre Erikson la definisce “una svolta necessaria, un momento in cui lo sviluppo deve procedere in un senso o nell’altro”.
Ma perché proprio intorno ai quarant’anni?
Come detto sopra Jung considera questo periodo, dal 35 ai 40 anni, una rivoluzione psichica in cui l’individuo ha una svolta naturale, ma da millenni il quaranta ha un significato particolare per l’uomo.
Il sommo poeta Dante Alighieri scrive la Divina Commedia a quarant’anni raccontando il percorso scaturito dalla sua crisi (Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita.). Egli ha colto a pieno il senso di questa particolare vicenda umana che non gli nega tuttavia l’esigenza di cercare, di vedere in profondità, non lo priva del coraggio di passare dall’inferno per ritrovare sé stesso. Per la tradizione Giudaico-Cristiana il quaranta è un numero legato al destino e soprattutto al concetto di “preparazione”: quaranta anni di peregrinazione nel deserto di Israele, quaranta giorni di diluvio universale, quaranta giorni di permanenza di Mosè sulla montagna, o di Gesù nel deserto, quaranta ore di sepolcro di Cristo prima di risorgere, quaranta giorni di digiuno che precedono la Pasqua. Per l’Islam il numero quaranta è ancora più importante: Maometto ricevette la sua prima rivelazione a quarant’anni, e quaranta sono i scalini che separano l’uomo da Dio, per il Corano il quaranta è legato ad un periodo di lutto o di attesa.
La mezza età è un periodo estremamente importante dal punto di vista psicologico
La mezza età è il momento di massima fioritura, quello in cui l’uomo e la donna sono ancora intenti nelle loro opere con tutte le forze e la volontà. Ma in quel momento si annuncia anche il crepuscolo, inizia la seconda metà della vita. La passione cambia volto e ora si chiama dovere, il volere si trasforma in obbligo, e le vicissitudini della vita diventano abitudini. Così l’uomo e la donna involontariamente guardano indietro, e cominciano a riflettere su come hanno vissuto fino a quel momento. Cercano le loro reali motivazioni e fanno delle scoperte.
A questa conoscenza di sè però non si giunge molto facilmente.
Conoscenze come questa si fanno soltanto attraverso profondi turbamenti.
La conflittualità interna a 40 anni
Il bambino inizia la sua vita psicologica in un ambito molto circoscritto, chiuso nell’orbita della madre e della famiglia. Crescendo il suo orizzonte si amplia, si spinge verso il mondo e lontano dai genitori ed inevitabilmente aumentano le influenze di cui diventa vittima.
L’individuo si trova così in uno stato di tensione tra messaggi che arrivano dalla società (esigenze pratiche e realtà della vita), e pulsioni interne che lo vorrebbero auto-realizzare. Essendo la persona, in questo stadio, prevalentemente proiettata all’esterno, sono proprio i messaggi sociali quelli che condizionano e impostano le esperienze di vita. Realizzarsi agli occhi degli altri, a livello di immagine personale, economicamente, come ‘status sociale’, sono spesso gli imperativi seguiti. L’individuo è completamente assorbito dal fare, produrre, ‘dimostrare che’.
E’ proprio a causa delle pressioni sociali e familiari che l’arrivo ai quarant’anni può essere accompagnato da un quadro di depressione e ansia.
Per esempio, se il quarantenne in questione non si è ancora sposato, non ha avuto figli, non ha comprato una casa o non ha ottenuto un buon posto di lavoro, è molto probabile che si senta più triste rispetto a qualcuno che ha già realizzato i suoi “doveri sociali”.
Caratteristiche della “crisi dei 40 anni”
Ci sono vari fattori che provocano la crisi di mezza età, ma i più frequenti sono: l’insicurezza, un’eccessiva responsabilità, una quotidianità sempre uguale, i conflitti con il partner, gli errori commessi in passato, la mancanza di obiettivi chiari, un forte innamoramento, una separazione, un fallimento professionale, un tradimento, la morte di una figura di riferimento …
Per questo attorno ai 35-40 anni la persona inizia ad interrogarsi su aspetti della propria vita, possono riemergere passioni e tratti giovanili ( vestirsi come adolescenti, frequentare locali o discoteche, ecc…), cercare nuove esperienze o fare cose prima non fatte per varie ragioni, tradire per disinibizione sessuale o per “uscire” dal ruolo di coppia, svalutare le cose su cui si sono investite tutte le proprie energie vitali, o al contrario, per una sorta di ‘meccanismo difensivo’ farle diventare dogmaticamente fondamentali e indiscutibili.
Spesso ci si inizia ad interrogare sul senso della propria esistenza rendendosi conto di voler cercare qualcosa che completi quel contenimento e integrità mancanti. A questo punto l’assetto della propria vita può venire messo in discussione e questa fase rappresenta la possibilità di rivedere le proprie priorità nella vita per mettere al centro la realizzazione della propria natura.

Il cambiamento da accettare
L’essere umano dopo aver, nella prima metà della vita, assolto tutti i doveri bio-sociali, a quarant’anni è come se potesse permettersi di liberare quell’energia che gli è propria, indipendente dalle aspettative genitoriali e sociali.
Questo nuovo atteggiamento nei confronti della vita può trasformarsi in un meraviglioso risveglio o provocare una grande nostalgia che blocca e spinge a vivere una sorta di letargo mentale ed emotivo, facendo dimenticare che, in realtà, ci sono ancora moltissime cose da poter fare.
Un eventuale cambiamento in positivo che deriva da questa crisi avviene grazie all’accettazione attiva del passare del tempo.
Una buona riflessione e una nuova pianificazione della vita (che è ciò che il corpo sta chiedendo) ci faranno andare avanti con la saggezza dell’oggi e l’irrequietezza della gioventù.
Come vivere la crisi?
👉Ascoltare le nostre paure. Esse provengono dall’inconscio e ci rivelano le disarmonie ed i bisogni della mente. Riconoscere le proprie paure, cercare di confessarle a noi stessi ed a chi ci è vicino, significa accettarci. A quarant’anni siamo abbastanza maturi per incontrarci con quella che Jung chiama la nostra “ombra”, la parte indesiderata di noi: tutto ciò che abbiamo ricacciato nell’inconscio nel timore d’essere rifiutati dalle persone significative della nostra educazione.
👉Riscoprire la nostra identità profonda. Facciamo emergere tranquillamente i nostri desideri più intensi, senza colpevolizzarci. Il desiderio, infatti, è la caratteristica più costitutiva della persona. Qual è stata, fino ad oggi, la finalità fondamentale della mia vita? Qual è l’identità che unifica i miei diversi ruoli sociali? Come mi piacerebbe che gli altri parlassero di me dopo la mia morte?
👉Accettare la debolezza. La crisi di mezz’età può divenire l’occasione per trovare il senso profondo della vita e liberare il meglio di noi. A tale scopo, occorre però immolare il sentimento di onnipotenza dell’età giovanile, accettando l’immagine della propria impotenza. Passare dai “bisogni” dell’io narcisistico (giovinezza, sicurezza, popolarità, denaro, amore) ai “desideri” dell’io profondo (comunicare, relazionarsi, amare).
Dopo la crisi
La rinascita e la scoperta di sé dopo una crisi profonda è un viaggio dalla natura faticosa, ma è l’unico modo per arrivare a trovare la nostra forma più autentica e personale.
A volte la necessità di conoscersi e ri-scoprirsi nasce da una confusa spinta interna, altre da una sofferenza difficile da definire, che può esprimersi con ansia immotivata, panico, vissuti depressivi e di perdita di senso.
In fondo ogni crisi ha del buono perché rimette in discussione i confini di un mondo conosciuto e di solito, se non ti chiudi, ne trai sempre un guadagno.Del resto lo dice anche Jung che
ciò che neghi ti sottomette e ciò che accetti ti trasforma.
Qualunque sia la strada che deciderai di prendere fra l’accettare o il negare, le cose non saranno più le stesse perché hai gettato uno sguardo all’interno del tuo inconscio, della tua selva oscura.
Dott.ssa Vania Munari
BIBLIOGRAFIA
JUNG Carl Gustav (1925), Il matrimonio come relazione psicologica, in Lo sviluppo della personalità, Opere XVII, Torino, Boringhieri, 1991.
JUNG C.G. (1961), Sogni, ricordi, riflessioni, a cura di Aniela JAFFÉ, trad. G.Russo, Milano, BUR Rizzoli, 2012.
McGUIRE William e C HULL R.F., Jung Parla Interviste e Incontri, Milano, Gli Adelphi, 1999.
PAPADOPOULOS Renos K., Manuale di psicologia Junghiana. Orientamenti contemporanei. Teoria, pratica, applicazioni, Bergamo, Moretti Vitali, 2009.