La RABBIA nelle DONNE e nelle BAMBINE


Di rabbia, le donne ne parlano pochissimo .

Perché è così raro che impariamo come si fa a essere arrabbiate/i?

La tristezza sì. L’invidia, l’angoscia, il senso di colpa: sì, sì e sì. Ma la rabbia no. A quanto pare per le bambine è la norma. Se è vero che con le femmine i genitori parlano di emozioni più che con i maschi, è altrettanto vero che la rabbia non rientra in quel discorso. Vi invito a pensarci per un istante: quand’è che avete imparato a riflettere sulle emozioni, e sulla rabbia in particolare?

Se ci analizzassimo bene, ci renderemmo conto che la rabbia inespressa o manifestata in modo inadeguato ha un ruolo in ciò che stiamo provando. In alcune/i essere arrabbiate/i genera ansia, il che a sua volta intensifica l’emozione iniziale. In altre/i la rabbia causa fastidi fisici che le/i rendono irascibili e scontente/i oltre a minarne la salute. Queste retroazioni della rabbia spesso hanno a che fare con forme di iniquità sociale non riconosciute.

Bambini e rabbia

Gli schemi di genere, che apprendiamo fin dall’infanzia e che pure vengono sfidati e smantellati ogni giorno, continuano a governare le nostre vite in modo profondo. Il genere di appartenenza determina l’attribuzione di ruoli, caratteristiche, responsabilità e status in seno alla famiglia. È nell’infanzia che si impara di solito a vedere la rabbia maschile come un pregio, specie se usata per proteggere, difendere o guidare. I bambini maschi imparano presto a conoscere la rabbia, ma non avviene lo stesso per altre emozioni, e questo causa diversi svantaggi non solo a loro, ma a tutti noi. In un contesto sociale che li scoraggia a mostrarsi femminili (vale a dire empatici, vulnerabili e compassionevoli), i piccoli maschi dispongono spesso di due sole alternative emotive: o si ritirano in se stessi oppure esprimono la rabbia in maniera aggressiva.

Bambine e rabbia

È nell’infanzia che si impara di solito a vedere la rabbia come qualcosa di poco femminile, sgradevole ed egoista. A molte di noi è stato insegnato che la rabbia sarà un peso per gli altri e ci renderà fastidiose e antipatiche. Che allontanerà le persone che ci vogliono bene e scoraggerà quelle che vorremmo attrarre.

Alle bambine non si insegna tanto a riconoscere o gestire la rabbia quanto a temerla, ignorarla, nasconderla e trasformarla. Quando ci viene insegnato che la nostra rabbia è indesiderabile, egoista, impotente e brutta, impariamo che noi siamo indesiderabili, egoiste, impotenti e brutte.

Frasi come se piangi diventi brutta”, “fammi un sorriso, che sei più carina così!” sono espressioni che colpiscono solo il genere femminile. Così facendo, insegniamo alle bambine ad adottare un “silenzio autoimposto”, sacrificando quest’emozione per altre socialmente accettabili, come la tristezza.
Rabbia e tristezza però non sono la stessa cosa: la prima smuove, la seconda obbliga a star ferme nella speranza che qualcosa cambi, o qualcuno la faccia cambiare per noi.
Pertanto, se da piccole facciamo di tutto per adeguarci alla “principessina educata” , da grandi passiamo a regine delle scenate fino a stronze impossibili se ci permettiamo di esprimere con foga ciò che pensiamo.

La rabbia nelle donne

Quante di voi si sono sentite dire nella vita frasi come “arrabbiata sei proprio brutta“, “calmati che sembri pazza” o il classico “ma hai il ciclo?”. Quante volte siamo rimaste in silenzio accettando ingiustizie quando invece volevamo gridare? Infinite volte. Quante donne piangono quando sono arrabbiate perché si sono trattenute troppo a lungo? Quante scoprono che la rabbia rivolta verso l’interno diventa depressione?

La cultura e la rabbia femminile

La rabbia consiste in genere nel dire “no” in un mondo in cui le donne sono condizionate a dire quasi tutto purché non sia no, solo che non viene legittimata e si cerca di associarla ad altro (ciclo, disturbo, patologia, bellezze/bruttezza, offese). 
Questo perché culturalmente la rabbia non è mai ben vista espressa da una donna. Le donne arrabbiate vengono etichettate subito come isteriche, pazze o delle grandissime str… , impoverendo e svilendo così un’emozione che di per sé non è affatto negativa ma positiva, in quanto portatrice di cambiamento e nemica delle ingiustizie.

La rabbia femminile è rilegata a settori precisi

La rabbia femminile è screditata quasi in ogni ambito, eccetto laddove conferma i ruoli di genere stereotipati sulle donne come prestatrici di cura e agenti riproduttivi. Ciò significa che ci è consentito essere arrabbiate, ma solo se stiamo al nostro posto: in veste di madri o insegnanti, per esempio, otteniamo rispetto e la nostra rabbia è in genere compresa e ritenuta accettabile. Se tuttavia trasgrediamo e andiamo in collera in un ambito ritenuto maschile – come la politica tradizionale o il luogo di lavoro – in un modo o nell’altro veniamo penalizzate.

La difficoltà di esprimere la rabbia

Come donne dobbiamo spesso morderci la lingua, rimangiarci le parole e ingoiare l’orgoglio.

È come se, ha affermato una volta una collega per me importante, ci si aspettasse che tenessimo la nostra rabbia confinata in cucina. Dove, per dire, possiamo sempre lanciare piatti.

Io non lancio piatti, lancio parole.

Lanciare piatti è un esempio di strategia di adattamento, ma non è un metodo efficace o salutare per esprimere la rabbia. Adattarsi porta spesso ad autoimporsi il silenzio e sentirsi impotenti. Sfogare così questa emozione è diverso che rappresentarsela come un modo utile per cambiare il mondo/situazione circostante. Il lancio dei piatti consente di essere arrabbiata senza darlo a vedere, non essere esigente o chiassosa e non palesare i suoi bisogni.

Facciamo di tutto per apparire razionali e calme. Minimizziamo la nostra rabbia chiamandola frustrazione, impazienza, esasperazione o irritazione o trasformandola in lacrime.

Impariamo ad arginare noi stesse: la voce, i capelli, gli abiti e, più importante ancora, le parole. La rabbia consiste in genere nel dire no in un mondo in cui le donne sono condizionate a dire quasi tutto purché non sia no. Invece le donne dovrebbero imparare a trasformarla collettivamente, in modo costruttivo.

La rabbia è come l’acqua

Molte donne e ragazze in studio ammettono con sorpresa  di aver provato rabbia ma non hanno mai creduto che esternare questa emozione fosse un loro diritto. Piuttosto piangevano (col risultato di arrabbiarsi ancora di più, perché apparivano fragili nel momento in cui invece avrebbero voluto apparire fortissime). Piuttosto la riversavano su di loro.

La rabbia è come l’acqua. Per quanto si possa cercare di irreggimentarla, dirottarla o negarla, troverà sempre una strada, in genere quella su cui incontra la minor resistenza. Spesso le donne la sentono nel loro corpo. Se non elaborata, questa emozione si fa strada fino a manifestarsi nell’aspetto esteriore, nel fisico, nelle abitudini alimentari e nelle relazioni, accrescendo bassa autostima, ansia, depressione, autolesionismo e vere e proprie malattie del corpo.

Dire: «Sono arrabbiata» è il necessario primo passo che porta ad «Ascoltami», «Credimi», «Fidati di me», «Lo so», «È il momento di fare qualcosa». Quando una bambina o una donna sono arrabbiate stanno dichiarando: «QUEL CHE PROVO, CHE PENSO E CHE DICO CONTA». La nostra rabbia mette in chiaro che ci prendiamo sul serio.

Rabbia: sentimento costruttivo

Essere incazzate significa portare con sé la volontà grande di cambiare una situazione che giudichiamo sbagliata; la rabbia ci permette di attingere alle riserve di coraggio e forza che spesso non sappiamo di avere e usarle per cambiare il mondo o la situazione.
La rabbia ha una pessima reputazione, ma è in realtà una delle emozioni più cariche di speranza e proiettate al futuro. Genera trasformazioni manifestando la nostra passione e il nostro coinvolgimento nelle cose del mondo

Una reazione razionale e anche emotiva alle prevaricazioni, alle violazioni e al disordine morale.

Movie Terapia

Cosa ci fa una donna incinta di nove mesi, impaurita, con una pistola puntata contro un poliziotto?

GLI ULTIMI SARANNO ULTIMI racconta la storia di Luciana Colacci, una donna semplice che sogna una vita dignitosa insieme a suo marito Stefano. È proprio al coronamento del loro sogno d’amore, quando la pancia di Luciana comincia a crescere, che il suo mondo inizia a perdere pezzi: si troverà senza lavoro e deciderà di reclamare giustizia e diritti di fronte alla persona sbagliata, proprio un ultimo come lei, Antonio Zanzotto, poliziotto con un’esperienza lavorativa tragica alle spalle chiamato a fare la scelta giusta oggi come ieri .

Un film che, tra risate, bugie, incomprensioni e voltafaccia, racconta la potenza incoercibile delle emozioni in tutte le sfumature possibili, trattenute e poi esplose.

«Nostro signore ha detto che gli ultimi saranno i primi…ma non ha detto di preciso quando».

Bibliografia
Chemaly S., La rabbia ti fa bella, HarperCollins, Milano, 2019
Maranon I., Educare al femminismo, Salani, Milano,2018
Facheris I., Parità in pillole, Rizzoli,Milano,2020

Gancitano M., Liberati dalla brava bambina, HarperCollins, Milano, 2019
Marzano M., Sii bella e stai zitta, Mondadori, Milano,2010
Moran C., Ci vogliono le palle per essere una donna, Sperling &Kupfer, Milano,2012

Slepoy V., Le ferite delle donne, Mondadori, 2003
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