Secondo Erikson, lo sviluppo di un individuo segue 8 fasi ognuna caratterizzata da un particolare “compito” o “crisi” da affrontare. Ogni superamento consente il passaggio alla fase successiva. Se i “compiti” non vengono risolti si cumulano e si ripresentano nella fase successiva a volte sino alla tarda età.

Nella seconda metà del XX secolo, Erik Erikson (psichiatra e psicoanalista) allievo di Freud, sviluppò una delle più popolari e influenti teorie dello sviluppo. Costituì la sua teoria psicosociale secondo la quale lo sviluppo della personalità viene guidato fortemente dalle pressioni sociali.
La teoria psicosociale della personalità di Erikson
Egli formula una teoria che abbraccia tutte le età della vita, dalla nascita alla vecchiaia, individuando per ciascuna di esse uno specifico compito che nasce dalla relazione tra l’individuo e l’ambiente: l’individuo deve affrontarlo e superarlo per poter accedere in modo sano allo stadio successivo altrimenti ritroverà le proprie lacune negli stadi successivi. Ogni fase o tappa sarebbe caratterizzata da una crisi psicosociale che funge da punto di svolta nello sviluppo.
Perché la crisi?
La crisi contraddistingue ogni tappa ed è generata da due forze in conflitto: una indica una conquista, l’altra il fallimento.
Se l’individuo affronta il conflitto con successo acquisirà competenze che gli serviranno per il resto della sua vita e proverà un senso di padronanza. Nel caso opposto potrebbe scaturire una sensazione di inadeguatezza nell’ affrontare con successo le sfide delle fasi successive.
Gli otto stadi di sviluppo di Erikson
Esaminiamo, uno per uno, gli otto stadi di sviluppo, con relativi conflitti, teorizzati da Erik Erikson.
1- Da 0 a 12 mesi. Il conflitto è tra fiducia-sfiducia
Il bambino vive con i genitori e su di loro può fare affidamento e ricevere protezione. La fiducia del bambino è strettamente relazionata con l’attaccamento e si basa sull’affidabilità e sulla qualità di chi si occupa di lui, in particolare della madre.
Se i genitori offrono un ambiente affettivo costante e prevedibile, protettivo e rispondente ai suoi bisogni, è probabile che anche il piccolo imparerà a sentire gli altri come buoni e ad acquisire fiducia in essi. Ma se non gli forniscono un ambiente sicuro e non soddisfano i suoi bisogni primari, probabilmente imparerà non aspettarsi nulla e ad avere sfiducia nel prossimo.
2- Dai 2 ai 3 anni. Il conflitto è tra autonomia – dubbio/ vergogna
Le acquisizioni di sviluppo come il linguaggio, il pensiero e la locomozione rendono fiero e autonomo il bambino, ma lo espongono anche a fallimenti, goffaggini, errori, da cui scaturisce la vergogna e il dubbio sulle proprie possibilità di riuscita. Se il contesto relazionale sarà troppo permissivo e severo, ostacolando le condotte esplorative del bambino, allora svilupperà un senso di insicurezza e dubbiosità. Se invece i genitori non saranno nè troppo permissivi, nè troppo limitanti, il bambino svilupperà la sua naturale inclinazione all’autonomia.
3- Dai 4 ai 5 anni. Il conflitto è tra iniziativa-senso di colpa
Questa è l’età del gioco dove il bambino consolida le competenze acquisite e spesso le applica in modo irruento, rompendo gli oggetti o facendo del male a fratelli e compagni di giochi. La sua esuberanza può non essere tollerata, specie in ambito scolastico, oppure scambiata per aggressività intenzionale, per questo il bambino può ricevere continui richiami, disapprovazioni e punizioni che suscitano sensi di colpa. Anche in questo caso l’ambiente familiare è fondamentale per favorire il normale sviluppo: se l’operosità viene inibita, il bambino interiorizza aggressività e quindi senso di colpa, che non gli permette di agire in modo finalizzato; se invece i familiari lo incoraggiano e tollerano la sua curiosità, allora impara ad agire, osare e avere iniziativa.
4- Dai 6 ai 12 anni. Il conflitto è tra industriosità-senso di inferiorità
Nell’età scolare il bambino fa il suo ingresso a scuola, dove si misura con gli altri e si cimenta in compiti di apprendimento. Il bambino si confronta con i coetanei che diventano il metro di valutazione del proprio successo e insuccesso; desidera anche avere la considerazione positiva degli insegnanti e riuscire nella socializzazione con i compagni. Il bambino inizia anche a lavorare in gruppo, impara a mettere in comune le forze per riuscire nell’impresa o al contrario entrare in competizione con gli altri. Le esperienze positive che vive lo sproneranno a sviluppare un senso di industriosità e competenza; al contrario il fallimento e l’insuccesso determineranno un senso di inferiorità e di inadeguatezza. (👉Per affrontare il periodo scolastico e migliorare la comunicazione con il proprio figlio leggi il mio articolo “LE DOMANDE DA FARE AI FIGLI“)
5- Dai 13 ai 18 anni. Il conflitto è tra identità-diffusione dell’identità
Nell’età dell’adolescenza il ragazzo deve elaborare le molteplici trasformazioni corporee, cognitive e sociali ed emanciparsi dalla famiglia delineando una propria identità. Il compito del genitore, in questa fase, è consentire al ragazzo la conquista di un’identità propria. Per farlo, l’adolescente dovrebbe avere la possibilità di sperimentare liberamente contesti differenti da quello familiare. Se l’adolescente viene represso in questa esplorazione, diventerà intollerante verso gli altri, aumenterà la ribellione e potrà sviluppare un’identità negativa, o fare esperienze estreme oppure identificarsi con modelli negativi.
6- Dai 19 ai 25 anni. Il conflitto è tra intimità- isolamento
Nel giovane adulto l’identità risulta delineata e dunque si cerca un’altra identità in cui rispecchiarsi, che offra una validazione di se stessi, con cui stabilire una relazione intima. Quando la persona ha stabilito la sua identità, è pronta a prendere impegni a lungo termine con gli altri. Diventa capace di formare relazioni intime e reciproche accettando i sacrifici e gli impegni che tali relazioni richiedono.
Per contro se la persona non riesce a formare queste relazioni intime, può apparire un senso di isolamento e solitudine allorché si evita di mettersi in gioco nelle relazioni per paura dei fallimenti e ci si chiude in se stessi. Ciò può creare insicurezza e una sensazione di inferiorità, poiché l’individuo potrebbe pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in lui. Può credere di non essere all’altezza degli altri, e cadere in una crisi con tendenze autodistruttive.
7- Dai 26 ai 40 anni. Il conflitto è tra generatività- stagnazione
Nell’età adulta, continua la costruzione della propria vita e si ha il desiderio di creare, non solo sul piano familiare (lasciare un’eredità genetica e sociale mediante i propri figli), ma anche sul piano lavorativo, e più generalmente sociale (opere sociali, ingegno…). Si desidera sentirsi utili e mettere a disposizione la propria esperienza sperando di dare contributi che diventino utili per coloro che verranno. Quando si raggiunge questo obiettivo, si riceve un senso di realizzazione. Altrimenti insorge la classica domanda: «cosa ho fatto nella mia vita?» ,«che cosa ho lasciato?».
Se si ritiene di non aver contribuito a migliorare la condizione sociale del prossimo(perché non ha completato positivamente i conflitti degli stadi pregressi o per risvolti drammatici della vita), allora si sperimenterà un senso di stagnazione: noia, insoddisfazione e sentimenti di inutilità della propria esistenza.
8- Dai 40 anni in poi. Il conflitto è tra integrità dell’Io- disperazione
Nella maturità e vecchiaia, il tempo e le energie rimanenti sono minori di quelle già spese, per cui viene a diminuire la progettualità a favore di riflessioni sul passato e bilanci. Se il viaggio della vita ha visto una risoluzione positiva dei conflitti precedenti, l’individuo non sente forti rimpianti e sperimenta una forte integrità dell’io che gli permette di accettare i limiti che la vita ha imposto. Al contrario, se non si giunge all’accettazione della propria vita a causa di rimpianti e rimorsi, può scaturire senso di disperazione e la nostalgia sotto forma di nebbia, accentuato dalla paura della morte. Un punto di vista o l’altro segnerà le aspettative della persona nei confronti del presente e del futuro.

Commenti
Le crisi teorizzate da Erik Erikson non sono prese a caso ma rimarcano i temi esistenziali tipici di ogni tappa della vita che vanno a scontrarsi con la società. E proprio in questo scenario può svilupparsi un conflitto tra i bisogni dell’individuo e i bisogni della società (intesa come la famiglia, la scuola e gli altri gruppi sociali) che può creare delle vere e proprie crisi personali. Purtroppo però la teoria sviluppata da Erikson è stata sottoposta a svariate critiche poichè i diversi stadi risultano troppo organicistici, inoltre non vengono specificate quali esperienze sono necessarie per risolvere con successo i conflitti e, quindi, poter passare alla fase successiva in maniera soddisfacente.
Di fatto, però, non dobbiamo dimenticare il potere e la responsabilità che ognuno di noi ha rispetto la propria vita attuale. Certo i nostri genitori o insegnanti o persone di riferimento possono aver sbagliato qualcosa verso di noi ma continuare ad incolparli non allevierà le ferite. Al contrario ci procurano la scusa per rimanere tali e quali. Pertanto, è opportuno impegnarsi per “essere la madre e il padre di noi stessi” (Irvin D. Yalom- dal libro Sul Lettino di Freud).
Cosa ci insegna Erik Erikson?
“Ciò che eviti ti perseguita“
Evitare non funziona!
Le nostre menti desiderano scappare lontano da qualsiasi forma di disagio, dolore o difficoltà che ci troviamo ad affrontare… Ma nel medio e lungo termine questa strategia non funziona affatto perchè i problemi non affrontati rimangono un tarlo che rosicchia la nostra mente finendo per compromettere in modo significativo il benessere della nostra quotidianità.
Le emozioni represse generano blocchi emotivi
Quando non esprimiamo e non parliamo delle nostre emozioni per molto tempo, queste si accumulano e possono causare malesseri. La paura, l’invidia, le critiche. Tutto finisce in una specie di “scrigno” che serve solo a farci stare male, sia dal punto di vista mentale sia da quello fisico. Nel frattempo andiamo avanti, continuiamo a tenerci occupati e super impegnati, mettendo i problemi da parte fino a quando non siamo poi costretti ad affrontarli davvero, quando sono diventati ancora più complessi.
Molte crisi nascono dalle emozioni represse, dai dolori taciuti, dai traumi negati. Quando li avvertiamo, è necessario farli emergere e capire quali sono i pensieri o le idee negative che hanno messo delle radici così profonde nella nostra vita da farci stare male.
Forse è arrivato il momento di parlare e spiegare tutto ciò che provate e che vi siete tenuti dentro per anni. Non importa se pensate che è meglio non far riaffiorare vecchi ricordi: perdonare e guarire fa bene sia a voi che agli altri.
➡Se nella tua esperienza credi che qualcosa in uno degli otto stadi di sviluppo di Erikson sia andato storto, puoi leggere questo mio articolo: L’acettazione è un atto di libertà: non è subire passivamente ma decidere e saper scegliere.
Dott.ssa Vania Munari
Psicologa
BIBLIOGRAFIA
CERVONE D. LAWRENCE A.P., La scienza della personalità-Teorie, ricerche, applicazioni-,Milano, Ed.Cortina Raffaello, 2017.
KANEKLIN C. GOZZOLI C., Psicologo Domani, Trento, Ed. Erikson, 2015.
MANGINI Enrico, Lezioni sul pensiero freudiano e sue iniziali diramazioni, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2001.