Quando a farci soffrire è il disperato e impotente tentativo di opporsi a un limite invalicabile.
«Quando non trovi una soluzione per un problema
Cit.
probabilmente non è un problema da risolvere,
ma piuttosto una verità da accettare.»
Spesso si presentano situazioni nella nostra vita in cui non sappiamo come agire e optiamo per accettare passivamente quello che ci succede oppure, al contrario, lo evitiamo o persino lo neghiamo. A volte, addirittura, ci ostiniamo nel voler cambiare una determinata situazione o persona e, in senso figurato, sembriamo “come mosche dentro ad un barattolo”.
Imparare ad accettare: imparare a cambiare
Che cosa ci turba di più nel vedere una mosca sbattere contro le pareti di un barattolo ed infine crollare esanime sul fondo?
Probabilmente, non è tanto la mancanza di libertà, ma il vederla continuamente sbattere contro le pareti. Se, per ipotesi, la mosca dovesse placarsi e “accettare” di vivere nello spazio stretto del barattolo, la nostra pena (e forse la sua) si attenuerebbe.
E’ il disperato e impotente tentativo di opporsi a un limite invalicabile a farci soffrire.
Se il limite risulta “inconcepibile” e inaccettabile, la persona tenderà a combattere contro i “mulini a vento”, ostinandosi ad aspettare ciò che non avverrà, a voler cambiare ciò che non è modificabile (in genere cambiare gli altri o le situazioni di fatto difficilmente modificabili), esponendosi a continui insuccessi. Così facendo perderà l’occasione di concentrarsi su ciò che è in suo potere fare e cambiare.
La non accettazione può portare ad un “blocco”
Per spiegare come la “non accettazione” dei limiti può portare a un blocco nella risoluzione dei problemi , farò alcuni esempi tratti dal mio lavoro quotidiano sul territorio e privatamente.
Un ragazzo era convinto di dovere riuscire sempre al massimo in tutto quello che faceva, altrimenti si sarebbe sentito un fallito. Si lamentava anche di essere sempre in ansia ed insicuro e per questo di sentirsi una persona debole e inadeguata.
Come si fa a pensare di dover raggiungere sempre il massimo senza provare ansia? Eppure era come se questa semplice considerazione non lo toccasse. In questi casi bisogna incominciare a “vedere” un limite e ad accettarlo: o mi concedo di non dover per forza arrivare al top, e allora proverò meno ansia, oppure dovrò tollerare l’ansia. Non posso propormi la meta più alta, senza pagare lo scotto di un po’ di fatica e di ansia.
In un altro caso la difficoltà riportata era di tipo sentimentale: “La mia relazione attuale è un disastro. Lui mi tradisce ma giura di non averlo fatto. Ho paura di lasciarlo, perchè non so se è la scelta giusta. Magari poi mi manca e non so se troverò un altro uomo. Sono triste, insoddisfatta e impaurita. Non dovrei esserlo, non è giusto. Sono una fallita”.
Depressione, ansia, ritiro sociale, incubi, malessere.
Anche qui, il punto di partenza è cominciare ad accettare una limitazione: o accetto di mantenere la relazione poco soddisfacente, provando anche dispiacere e tristezza, oppure accetto il rischio di romperla.
Quando si incomincia guardare in faccia la realtà, a prendere atto delle conseguenze del nostro modo di pensare e a vivere le emozioni, si incomincia a ridurre il senso di impotenza.
Ci si rende conto che l’accettazione è un atto di liberta’: non è subire passivamente, ma decidere e saper scegliere una priorità.

Infatti, scegliere significa rinunciare a qualcosa, saper mettere in secondo piano qualcosa.
Senza rinunciare o accettare il limite non possiamo nemmeno delimitare le nostre risorse per sfruttarle al meglio, perché siamo continuamente proiettati verso l’esterno o verso ciò che non possiamo modificare o raggiungere. Se continuo a pensare che l’altro deve cambiare, che devo essere diverso da come sono, che la realtà dovrebbe essere diversa da come è, continuerò a combattere contro i mulini a vento e non riuscirò a concentrarmi su quello che è davvero in mio potere fare, partendo da quello che ho già.
Spesso la sofferenza, le difficoltà, la scarsa efficacia nel cambiamento delle situazioni problematiche scaturiscono dalla impossibilità di accettare dei limiti e le conseguenti emozioni.
E’ un circolo vizioso.
L’emozione è difficile da accettare perché ci segnala situazioni difficili, che valutiamo incompatibili con il nostro sistema di scopi o con l’immagine che vorremmo avere e dare di noi; d’altra parte è anche vero che una realtà diventa difficile da accettare ed affrontare se non riusciamo ad accettare le emozioni che la segnalano.
L’emozione “è la porta” che ci fa entrare nel problema per comprenderlo con precisione: finchè non l’attraversiamo, non possiamo renderci conto di tutto quello che di utile potremmo “vedere” e fare una volta dentro!
Accettazione o rassegnazione?
Nella nostra società il termine “accettazione” evoca immediatamente sospetto, scetticismo, e talvolta persino una sorta di repulsione quando viene inteso come “farsi andare bene ciò che detestiamo”.
Il vocabolario può venirci in aiuto: secondo il Devoto Oli accettare significa “acconsentire a far proprio ciò che viene offerto; impegnarsi ad osservare e a rispettare quanto stabilito; ammettere a far parte, accogliere”.
Considerando questo significato dal punto di vista psicologico, accettare è prendere atto della realtà e “digerire” l’elemento indigesto, cessare di combatterlo.
Cercando la definizione di “rassegnazione” leggiamo: “disposizione di chi si adegua consapevolmente, senza reagire, a un dolore o ad una sventura; chi si è adattato per virtù o mancanza di spirito di reazione a sopportare un dolore o una soluzione avversa” (Devoto Oli).
Nella rassegnazione non vi sarebbe apertura verso nuove soluzioni ma sopportazione e adeguamento; il soggetto è sconfitto, schiacciato, inerte di fronte all’evento avverso.
Nell’accettazione, invece, l’individuo, dopo aver tenacemente lottato e reagito, si eleva al di sopra della propria sconfitta, abbracciandola, essendo più grande della propria stessa impotenza, arrivando ad includerla nella propria visione del mondo e della sua vita.
È fondamentale non confondere l’accettazione con la rassegnazione poiché rassegnarsi sarebbe assumere la situazione con la passività della sofferenza, mentre accettare presuppone essere parte attiva della situazione, ovvero prendere decisioni che possono condurre al cambiamento.
L’impotenza che genera il cambiamento

Se dopo aver cercato di modificare la realtà o di evitare l’elemento avverso ci siamo accorti che non è possibile, o che qualsiasi reazione avrebbe conseguenze peggiori, allora decidere di accettare significa fidarsi delle nostre valutazioni ed emozioni.
Solo avendo lottato e provato fino in fondo il dolore, la tristezza, la rabbia e finanche la disperazione di non riuscire a modificare le cose possiamo procedere verso l’accettazione.
Per accettare una situazione che non riesco a modificare devo accettare l’impotenza e le dolorose emozioni correlate.
Talvolta pensiamo che sia inaccettabile ciò che è successo, diciamo “Non è giusto!”. Ma nulla stabilisce che non sia previsto sentirsi impotenti. Purtroppo l’impotenza è un dato di fatto, rientra nella realtà delle cose.
E conviene prenderne atto.
Quindi potremmo chiederci:
“E se accettassi proprio quello che continuo a combattere e che ho compreso di non poter modificare?”
Quando riusciamo ad introdurre nella nostra visione del mondo anche l’impotenza ne deriva di solito un cambiamento, una nuova intuizione, una sensazione di novità che può portare a una nuova pace ed anche ad una insperata serenità.
Conclusioni
Due sono le vie per la risoluzione dei problemi:
trovare il modo di modificare la situazione problematica oppure accettare di non poterlo fare e cercare altre vie, per esempio modificare la nostra visione delle cose e i nostri vissuti emotivi.
Entrambe le strategie richiedono l’accettazione delle emozioni e dei “problemi” (limiti, ostacoli, pericoli, difficoltà) che esse segnalano.
L’esclusione delle emozioni blocca il processo decisionale.
Per decidere e per prendere buone decisioni, imparando dall’esperienza passata, dobbiamo sempre essere in contatto con le nostre emozioni.
La decisione, lungi dall’essere un atto meramente razionale,necessita delle emozioni, le sole che possano segnalarci il “peso” ovvero “la gradevolezza o sgradevolezza) di una scelta.
Dott.ssa Vania Muanri
Psicologa
BIBLIOGRAFIA
Fogliani M., Pellai A., Le nuove sfide dell’educazione in 10 comandamenti, Le Comete FrancoAngeli, Milano, 2012.